Rita Ippaso (Trapani, 1936).
Siciliana di nascita ma abruzzese di adozione, risiede da molti anni nella citta’ di Chieti, dopo aver vissuto in Inghilterra. Nella sua formazione di pittrice e ceramista, si annovera l’Universita’ Orientale di Napoli e l’Instituo Statale d’Arte di Chieti. Dal 1980 segue assiduamente i corsi di ceramica tenuti in Gran Bretagna all’Universita’ di Loughborough , al Rowlins College ed al Burleigh College, mentre, a Palermo, all’Accademia di Belle Arti, ha modo di frequentare i corsi di tecnica incisoria quando gia’ la sua attivita’ pittorica e scultorea e’ consolidata. Inizia la sua attivita’ espositiva nel 1974 con una mostra personale alla Bottega d’Arte di Chieti, proseguendo in diverse citta’ e prendendo parte a qualificate rassegne collettivite in Italia ed all’estero. Vive e lavora tra Chieti e Pescara.
PRESENTAZIONE DI MARIA CRISTINA RICCIARDI
Rita Ippaso In Cammino
«All’inizio della mia attività artistica dipingevo soprattutto le prefiche, donne siciliane che a pagamento si lamentavano e piangevano dietro i funerali di perfetti sconosciuti. Parlavo dei condizionamenti che le donne subivano in conseguenza della loro cultura. Case vuote dove dominava il silenzio, donne nude, coperte da un cappello maschile. Infiniti cappelli d’uomini. Poi ancora sogni, illusioni, dolori, amore. Sposi irreali con i loro bouquet di fiori. Attese lunghe, attese di sogni che non si realizzavano. Memorie di felicità. Ed infine ho iniziato il viaggio…»
R.I.
Ogni viaggio muove da un luogo. Ed il luogo di partenza del cammino artistico di Rita Ippaso coincide con la storia di una bella ragazza, allora ventenne, e di un’isola tanto speciale perché epicentro perfetto di atmosfere e di memorie, luogo prediletto di quel sentimento di mediterraneità, che si delinea tra mito e storia. Ma negli anni Cinquanta, per una giovane donna, quale era Rita Ippaso, vivere a Trapani, nella cosiddetta “città tra i due mari”, significava anche fare i conti con il ruolo esercitato dalla famiglia e con il pesante condizionamento del contesto sociale. In particolare, la subordinazione all’uomo, secolarmente codificata in vincoli e restrizioni, nell’indifferenza e nei silenzi delle pareti domestiche. Alla donna – come ci insegna Sciascia – la prerogativa, da anziana, di un sotterraneo matriarcato, oppure, da suocera, il potere di controllo sulla nuora, con cui reiterava quanto lei stessa aveva subito da giovane.
Da questa premessa, dalla percezione di un malessere femminile che la fa sentire inadeguata verso quello che gli altri si aspettano da lei, si affaccia, attraverso l’arte, la necessità e la convinzione di “andare oltre”. Questo è il primo passo – se è vero, come qualcuno ha scritto, che il primo passo verso la libertà è accorgersi delle “catene” – di un lungo viaggio di emancipazione dal controllo maschile che si realizza, non senza difficoltà, attraverso la forza dell’urgenza espressiva che proprio l’esigenza dell’arte le regala:
«L’arte è stata per me un dono – mi ha ripetuto l’artista – un grande dono ricevuto, come l’amore dei miei figli e l’affetto di chi ha compreso quanto fosse importante per la mia vita il mio lavoro».
L’elaborazione del linguaggio, come spazio dell’invenzione e della creatività, come possibile alternativa per affermare la propria esperienza del mondo, nasce attraverso la pittura, per poi incontrare nel modellato plastico e nella calcografia, l’ideale completamento di un medesimo pensiero. La graduale conquista della padronanza tecnica cresce insieme alla curiosità di dar vita a qualcosa che possa assomigliare alla sua visione della realtà circostante. Nei temi ricorrenti, che partono dalle Prefiche senza volto, professioniste del pianto e icone per eccellenza di una finzione scenica, troviamo, sia in pittura che in scultura, la trasfigurazione pittorica delle donne in volatili domestici, perlopiù giovani oche, come in Papera (1991) che, se da una parte ci richiamano le “donne- papere” della novella di Boccaccio, dall’altra rimandano al piccolo e angusto mondo di un cortile, ad una compressa perimetria emotiva che cerca una diversa possibilità di spazio. Da qui nascono anche le prime “Bambine” in terracotta, come Bambina (1990), laddove l’artista cerca, nella fisicità del modellato, uno sfogo più pieno al suo “fare”, pervaso ancora da un sentimento di dolore e di impotenza. Ragazzine dai grandi fiocchi in testa, come nelle ceramiche policrome Ragazza (2012), Busto di ragazza e Ragazza, dell’anno successivo, che richiamano il ricordo delle orfane coinvolte dalle prefiche ad amplificare l’effetto teatrale di una vera e propria parodia del dolore.
Al modellato della figura, l’artista associa spesso la forma sferica di un globo, come in Bambino (2013), metafora di un “gioco” complesso, quello delle passioni e di tutte le questioni che riguardano l’essere al mondo, compresa la leggerezza del pensiero che rimbalza e vola oltre il visibile. Sfere che nascono in pittura, già alla metà degli anni Settanta, in opere quali Donna e mela e Autoritratto, associate all’anima, alla maternità, alla vita e che, negli anni a seguire assumono la sembianza di dischi cromatici traslucidi, galleggianti nell’aria come bolle di sapone, fino a diventare una presenza vera e propria che si impone più della fisicità stessa dei corpi raffigurati, come appunto nella grande tela Famiglia, del 1986. E poi ci sono le povere spose di Bouquet (1983), San Giovanni degli eremiti (1992), Sposi (2008), che già dagli anni Settanta si rincorrono nei suoi dipinti e nelle belle grafiche all’acquatinta e all’ acquaforte, unitamente alla presenza reiterata dei cappelli da uomo, come già in Donna e cappello (1976), chiaro simbolo di una netta preminenza maschile. Come le giovani spose, con i loro sogni e le loro illusioni, anche nella serie “Bambine”, l’artista pone l’accento sulla loro natura di creature ignare del futuro che le attende. Ed ecco, allora, il tema dell’ombrello, anch’esso costantemente presente nella sua produzione, come ancora nel recente dipinto Gallo rosso (2013), ad evocare l’idea della protezione, necessario riparo contro le cose che più spaventano. I sentimenti inevitabili dell’ansia e della paura assumono l’aspetto di animali feroci, concretizzandosi nella massa plastica di un grande uccello nero o in quella di un grande toro rosso, come in Paura, dipinto realizzato nella metà degli anni Novanta.
Visioni di orribili minacce che con il passare degli anni ella impara a ricondurre, a rimettere nell’ordine delle cose. Da qui il mondo faunistico che connota le opere realizzate negli anni 2009-2010: leoni, leopardi, elefanti, struzzi, pretesto pittorico e memoria stessa di viaggi, come quello compiuto in Africa, a seguito del quale l’artista rinnova la sua percezione pittorica della luce e del colore, con il rammarico, forse, di non averla potuta afferrare, tanti anni prima, nella sua Sicilia. Archetipica corrispondenza simbologica, l’immagine del pesce ricorre tanto nei suoi dipinti che in scultura, come nelle tele di grande formato Sott’acqua (2011) e Navigando (2013) e nella plastica di Pesce (2012), come pure in numerosi piatti e vasi in pasta bianca, fino a costituire la texture cromatica dei corpi stessi delle sue “ragazzine”. Un tema che, associato con l’elemento naturale dell’acqua, ci riconduce ad un’idea di vita e di fertilità, come l’iconografia paleocristiana ci insegna. Se i pesci sono metafora della sua intima esigenza di riscatto spirituale, la rappresentazione reiterata di uccelli, ponte tra la terra ed il cielo, diviene per la Ippaso la proiezione delle proprie idee e dei propri pensieri che a volte vagano senza meta, da una sponda all’altra del cielo. Pensiamo a pregevoli lavori come il piatto in ceramica Uccello (1983), in cui l’andamento del volatile si armonizza con la forma astrale del disco, alle sculture Colomba (2007) e Uccelli (1992), e a numerosi lavori in pittura, sia del passato, come Attesa (1990), sia di recente produzione quali Uccelli, Uccelli in volo, Volo (2013).
L’arte vera è sicuramente un persistente combustibile, capace di generare un fuoco che l’artista porta dentro di sé comunque e sempre, un qualcosa con cui deve, anche suo malgrado, fare i conti. Così, per Rita Ippaso, il mondo quotidiano e mentale coincide totalmente con l’idea della creazione artistica, una vena caparbia con cui ella ha saputo portare avanti la sua idea di pittura e di modellato in ceramica, passo dopo passo, giorno dopo giorno, nel cammino della sua vita. Non c’è dunque per lei una metafora più efficace della parvenza dell’angelo ad indicare il custode di un “dono”, tanto unico e speciale, affidando proprio alla raffigurazione angelica la possibilità di corrispondere con il mistero che abita dentro di lei e dentro l’ invenzione artistica. Di qui una serie di opere, dipinti ad olio e sculture in pasta bianca, dalla superfice vivacemente trattata dalle incisioni e dalle cromie degli ossidi, laddove la presenza dell’angelo si pone come conforto e guida del proprio faticoso cammino: Angeli a cavallo, guardiani della presenza dell’infinito che abita dentro la vita di noi tutti. Animali e paesaggio, figure e paesaggio, ritornano come temi dei suoi dipinti più recenti dove tutto si armonizza, dove i mostri di un tempo sono finalmente scomparsi per lasciar spazio ad immagini mnemoniche sedimentate nel tempo, visioni che non feriscono più, inermi con le loro masse statiche calate dentro la luce mediterranea, restituita nella visione verdeggiante di fitte e scomposte vegetazioni.
Alla base dell’invenzione del suo linguaggio, che è specifica voce dell’artista e connotazione della sua riconoscibilità stilistica, c’è una ricerca cromatica su alcuni toni dominanti che già in origine si pone come vitale superamento della visione naturalistica, in un continuum di tensione fisica ed emotiva: gialli acidi, azzurri tersi, rossi corallo vibranti e vitali, sintesi visiva di dominanti calde e fredde, di un equilibrio raggiunto nel concentrato silenzio di tanto lavoro, come sintetizza il palloncino bianco, di grande potenza poetica, di Innocenza.
Siamo di fronte ad una pittura che esclude il gesto rapido, la nozione della casualità. Tutto è pensato, sedimentato, riflettuto con rigore, nel necessario distacco che l’artista imprime alle cose vedute perché ciò che entra nel quadro è già altra storia, con una vita tutta sua, una esistenza altrimenti impossibile. Questo è il senso di opere come Memorie, grande tela del 2010. È un lungo e non facile cammino, in cui l’artista, combattuta dalle altrui ragioni, si è sentita più di una volta spinta da una riva all’altra, con la sensazione di non pervenire a nessun avanzamento (Da una riva all’altra, 2011). In realtà, il procedere del suo cammino non guarda alla progressione lineare ma al raggiungimento della capacità pittorica di riuscire a trasmetterci la vita interiore delle figure, oltre la loro apparenza esteriore. Tra dubbi e incertezze, rassicurazioni e convincimenti. Perché ciò che conta è restare in cammino, continuare a dare ascolto alle proprie voci, ad esserci. Ed ecco il fascino dinamico delle ruote di bicicletta, come in Coppia (1993), Ragazzo in bicicletta (2010), Donna in bicicletta (2011), o delle sue barche che traghettano i nostri sguardi, nell’evidente instabilità del mondo.
C’è tutto un universo figurale che ritorna nei suoi viaggi illuminati dalla fantasia e dalla realtà e non importa se certi temi o certe allusioni ricorrano continuamente, ieri come oggi, costituendo quasi un leitmotiv. Per Rita Ippaso creare continua ad essere un atto liberatorio e credo che nessuno più di lei possa farne a meno.
*Maria Cristina Ricciardi – Critico d’Arte*
Come critico d’arte, Maria Cristina Ricciardi presta da anni peculiare attenzione alle espressioni della pittura e della scultura italiana contemporanea e particolarmente approfondita e’ la sua conoscenza della situazione artistica abbruzzese, attraverso la pubblicazione di numerossimi contributi critici sul lavoro condotto da artisti nati e operanti in Abruzzo. Di notevole interesse la stesura di saggi critici su artisti di panorama nazionale. Ha ordinato numerose mostre d’arte contemporanea in Italia ed all’estero, in collaborazione con gli Instituti Italini di Cultura (Berlino, Londra, Miami), e curato manifestazioni culturali in sedi pubbliche e private, partecipando a comitati scientifici di progetti culturali e patrocinati da Fondazioni e da Enti pubblici.