La sua componente surreale, che affonda le radici nella tradizione di un Sud dove la leggenda è ancora realtà, la porta a dipingere personaggi e luoghi che sembrano incantati, usciti dalle pagine di un Verga non più verista ma fiabescamente omerico. Immagini di donne senza volto, senza identità, chiuse nel drappo nero a contrasto di cieli abbacinanti, di nature violente e crudeli.
M. Carla Morbiducci, 1975
Conosco alcuni degli insegnanti della scuola “chietina” presso cui Rita Ippaso Liparoti dichiara d’aver maturato la sua formazione: ne riconosco tagli, impaginazioni e gli scandimenti; direi il fraseggiare, la stessa lingua pittorica parlata in quel sito dell’Abruzzo contemporaneo, dove vanto amici carissimi. Eppure vedo l’origine siciliana condire di acri spezie tutta la pittura dell’Artista.
È vero che, a volte, tale origine si appalesa senza mezzi termini nei temi che allineano sulla tela teorie di donne ammantate di nero nella presenza dei fichi d’India con le loro tipiche trame, ma l’autenticità di una natura, di un carattere tipicizzante si incontra e si qualifica proprio dove i termini lessicali “chietini” si fanno più asciutti, si inaspriscono: segno questo che documenta e attesta non solo quella autenticità della quale si è detto, ma un’interiorità di visione già in grado di agire sullo stile e determinare taluni fondamentali caratteri. I caratteri che sono dote dell’Artista.
Domenico Purificato, 1976
…opera particolarmente rilevante, una fresca composizione di raffinato cromatismo di memoria chagalliana.
Raffaele de Grada, 1982
Il suo mondo poetico si rifà vagamente al fantastico, e il dettato figurativo si unisce con stilemi della pittura informale. Il colore sembra quello di un antico affresco: le tinte sono asciutte e ferme, con tracciati, incroci, sovrapposizioni che affiorano e spariscono simultaneamente. Più ideale che reale, più tracce che definizioni compiute, con personaggi librati in un vapor d’aria indefinito.
Aleardo Rubini, 1985
Realtà esterna e mondo interiore trovano nelle composizioni della pittrice siciliana una congiunzione in cui fantasmi lievi e tristi si fondono col primo piano in delicate trasparenti atmosfere. A fianco delle opere pittoriche l’artista presenta un buon numero di sculture nelle quali si accentua la tensione al simbolo denso di significati.
Se nelle prime riesce a fondere con singolari risultati sogno e realtà nel riferimento anche ad una condizione femminile da un lato ancorata a riti arcaici e dall’altro sospesa su mondi sconosciuti, nel lavoro plastico Rita Ippaso sembra affidarsi alle suggestioni che sono anche della materia impiegata.
Il modellato semplice e sintetico s’accorda al colore tenuo steso sulle superfici ed alle parti lasciate grezze che alleggeriscono le forme con la porosità propria dell’argilla.
Sono figure emblema nelle quali la vicenda d’una Sicilia remota finiscono per fissarsi in una sorta di memoria senza tempo.
Chi si aspetta che girino in tondo al suono di uno strumento dal ritmo ossessivo e quando s’arrestano si evidenzia la loro ieraticità.
Luciano Spiazzi, 1985
… Le sue opere, quasi tutte di grandi dimensioni, si impongono per la raffinatezza formale, per la loro ariosità e per la delicatezza dei colori che avvincono in un sottile gioco di trasparenze e velature.
… La tecnica è quella del “grattage” cioè l’asportazione sapiente della materia-colore, condotta fino a lasciarne impressa sulla tela solo l’anima come una chiara essenza sublime.
… La superficie corrusca, densa di concrezioni calcaree, si avvolge nella foma arrotondata del bozzolo, matrice primigenia della vita.
Lo spirito della terra vi è contenuto, catturato un momento prima di modellare l’espressione definitiva di ogni singola cosa.
Così questi lavori possono evocare tutto, perché di un tutto in divenire recano l’impronta.
Giuseppe Occhipinti, 1986
Rita Ippaso, una pittrice siciliana con un mondo interiore pregnante di poetica umanità.
Ad un osservatore superficiale, i termini del suo linguaggio solo apparentemente, potrebbero essere accostati al mondo chagalliano, pieno di miti e di leggende, ma, in realtà, i dipinti di Ippaso sono di un candore e di un’acutezza notevoli e molto personali. La sua pittura è frutto di conquista meditata e sofferta, sintesi armoniosa di tanti elementi. Preferisco parlare di “sintesi armoniosa”, perché finalmente questa artista siciliana è riuscita a superare “l’incubo e la presenza storica” di un realismo sociale legato, in vari modi, ad un artista come Guttuso. Alcuni temi, legati al mon- do femminile, sono toccati dalla pittrice con una diversa e personale poetica.
Parlando con la Ippaso, scopro un amore quasi ossessivo per la pittura e una necessità urgente di tradurre sulle tele la sua realtà interiore. Anche per questo, le sue opere conservano ben percettibile una spontaneità non usuale. Inoltre sulla piattaforma ben solida della tecnica, la pittrice ha saputo “costruire” con coscienza e con libertà di espressione.
È un risultato raro da conseguire, soprattutto per chi è partito solamente con una naturale disposizione a “dire” con la pittura la sua realtà come una favola ora gioiosa ora triste.
Giovanni Repossi, 1985
Rita Ippaso espone pitture, ceramiche, incisioni. Tutto è sogno. Dall’ancestralità, della dimensione antica dell’uomo e del suo essere atemporale. Sogno dell’intus quale luogo di silenzio e luce, dove è possibile dare valore al presente.
Nella pluralità dei linguaggi l’artista manifesta un io palpitante di vita. Pittura memore dell’elegia chagalliana, che presto si fa capace di interpretare situazioni d’incubo, come in “Bambini” del 1989, il cui colore pastello si sfalda, con violenza di carboni neri, rosso violacei, dando l’impressione che il vero ispiratore è Francois Bacon.
Nell’incisione è un romanticismo naif: dallo spazio buio delle lastre appaiono degli amanti, simili a ectoplasmi incantati. Ma il linguaggio alla Ippaso più consustanziale è quello della ceramica, che reinventa nelle grevi brume dell’Inghilterra, smorzando l’esplosione cromatica conosciuta in Sicilia.
Nei vasi e nelle figure zoomorfe, compositivamente rigorose e talvolta di ritmi geometrico come in “Toro e donna”, quasi monotona è la luce che penetra la materia porosa, mossa appena da graffi di cerchi e gocce celesti, rosa, azzurrognole.
Ceramica che sa di tufo e di pietra bocciardata, proveniente da scavi archeologici per forme che rimandano a egizi e sumeri; oppure emersa dai fondali marini con pesci fossili, oinochoe e volti-maschere. C’è il gusto del reperto in questa creazione della ceramica che affascina con la passione mediterranea e l’intelligenza.
Giovanni Bonanno, 1993
Italo Calvino nelle sue Lezioni americane raccomandava il valore della leggerezza. “La mia operazione è stata il più delle volte una sottrazione di peso; ho cercato di togliere peso alla struttura del racconto e al linguaggio”.
A queste parole pensavo di fronte alle ultime opere di Rita Ippaso. I dipinti e soprattutto le incisioni hanno perso il senso di chiusura e di angoscia che caratterizzava i suoi primi lavori. Sono scomparsi gli animali imprigionati, le donne coperte di bende, i neri ossessivi. Ora tutto è luminosità nel colore e leggerezza nella forma.
Anche i soggetti sono diversi: le figure sono giovani spose in bicicletta, uomini che si affacciano verso qualcosa, uccelli liberi in cieli colorati. Vi è un’immagine surreale del mondo, un’interpretazione fiabesca degli episodi, dello spazio, della vita stessa.
Si pensa a Marc Chagall, ma anche a Robert Delaunay, e soprattutto a sua moglie Sonia, per la ricchezza cromatica, per gli accostamenti vivaci di forme geometriche coloratissime che sembrano piccoli, luminosissimi arcobaleni.
Accade spesso però che tra i gialli accesi, i rossi intensi, gli azzurri trasparenti, o nel mezzo di nitide composizioni, compaiono dei vorticosi segni neri; ecco, intervengono nell’opera con ironia, come nella sua ultima incisione, dove sono chiamati a costruire con il compito di togliere peso alla struttura formale. Altre volte invece sembrano esser stati scaraventati dall’artista sulla tela con l’intento di distruggere, di cancellare le immagini, di oscurare la luce, come accade in molti dipinti.
È questo segno aggrovigliato l’aspetto più affascinante del lavoro della Ippaso, un segno che si ritrova anche nelle sculture in ceramica, nate dalla grande capacità dell’artista di sintetizzare le forme, e nei gioielli, minime e originali sculture che sembrano scaturire dall’esplosione di materiali preziosi.
Lea Mattarella, 1995
Ragionando sulle sue opere, soprattutto sui dipinti più recenti, si nota come l’impianto cromatico sia strettamente connesso all’emozione interiore producendo deformazioni del gesto con stacchi decisi sia quando si risolve in ampie campiture sia quando l’invenzione semantica altera la conformazione consueta dell’oggetto in questione. Le motivazioni della sua trasgressione, che anticipa in parte certe soluzioni della trans-avanguardia, sono sufficientemente chiare poiché non dipendono da volontà di contraddizione in termini estetici ma dalla necessità di esprimere accezioni diverse nella vicenda creativa.
Un inquadramento importante della sua situazione artistica si ottiene con l’esperienza inglese, che prosegue alternativamente nel corso dei suoi vent’anni di dedizione alla pittura e contempoaneamente alla espressione plastica risolta con la manipolazione della ceramica. Ne consegue un atteggiamento lirico con maggiore accentuazione drammatica in seguito ad accadimenti definitivi che segnano la sua vita. Per non essere troppo schematici nella collocazione estetica (esistenziale) di Rita Ippaso dobbiamo tener conto degli avvenimenti, dei momenti critici capaci di influire sul frutto delle invenzioni. Ed è il costo dei sacrifici ad imporre la consapevolezza del “vissuto”, momenti in cui si può indebolire la volontà di tentare modelli diversi da quelli guida anche quando l’esposizione estetica presenta caratteristiche diverse e non direttamente conducibili agli archetipi dominanti.
Naturalmente alla Ippaso interessa l’atto individuale del fare pittura, il momento concreto della costruzione di un dipinto, di un determinato dipinto. Tutto ciò inserito con grande attenzione in un suo sistema creativo, dove l’espansione cromatica della pittura si dilata sino alla dimensione plastica per dare maggior corpo alla forma. Il procedimento percettivo e bruciante usato nel fare pittura si insinua nella materia – la terra che si gonfia e si inventa una graqvidanza per darsi forma e per farsi matrice – ed afferra l’intimità delle cose proprio nel momento in cui la realtà sta per sfuggire alla presa del linguaggio sull’onda di un sogno, di una memoria dispersa lungo le trafile della Cabala “per tentare di recuperare i poteri da lungo tempo assopiti” (Foucault).
Franca Calzavacca, 1995
È riuscita a conservare l’eco di quella cultura classica introiettata negli anni della formazione trascorsi nella natia Sicilia e parallelamente non rimanere estranea agli itinerari davvero singolari sul piano linguistico delle avanguardie storiche prima e delle neoavanguardie poi.
Si diceva dei diversi settori nei quali si è concentrata l’opera dell’artista, ovvero la pittura, la scultura e la grafica. In campo pittorico indubbiamente più rilevante è la sua modernità, intanto per aver espresso a più riprese la sua simpatia per la poetica informale ove determinante è il materismo, la gestualità e l’azzeramento talora anche memoriale dell’icona. Rilevante ancor più nei suoi dipinti l’energia della pennellata e del colore sempre assai robusto, così come una visione lucidissima dello spazio entro cui collocare le varie tessere cromatiche in armonia di giustapposizione. E poi c’è il grande gioco degli accordi, e i rapporti e il ritmo; tutto un coordinamento che trova la sua spiegazione allorché vengano studiate le sue mirabili incisioni all’acquaforte, che a mio avviso costituiscono uno dei vertici assoluti della sua produzione artistica. Io ho sempre sostenuto che il bravo artista deve essere eccellente nel disegno. Ebbene, la nostra autrice nei suoi lavori calcografici dimostra una perizia sorprendente sotto questo aspetto. Il segno è sicuro, calligrafico, formativo dell’immagine in modo spontaneo. Ma il pregio che maggiormente ci fa apprezzare questa branchia della sua produzione artistica è l’assenza di ogni benché minima forma decorativa e quindi di compiacimento sentimentale sugli itinerari ed i percorsi segnici. C’è sobrietà somma, sintesi e volontà esecutiva di approdo all’immagine senza attitudini barocche.
A chiudere il perimetro degli interessi artistici della nostra autrice, abbiamo la sua produzione plastica per la quale si serve della tecnica ceramica. È senza dubbio quella che le ha dato maggiore notorietà e soddisfazioni sul piano professionale e poi si è rilevata la più adatta per esternare quella interdipendenza tra formazione classica, starei per dire arcaicista e propensione alla con- temporaneità.
Intanto c’è da rilevare come Ippaso abbia sposato una tesi ormai consolidata nella cultura ricorrente circa la valenza artistica della produzione ceramica. Questa, dopo le esperienze di maestri storici quali Fontana, Leoncillo, Agenore Fabbri, per non parlare dello stesso Picasso, da nessuno è più considerata arte minore, essendo caduto ogni pregiudizio in tal senso. Quindi la tecnica esecutiva ed i materiali adoperati per produrre un’opera non ne accrescono né ne inficiano la valenza sul piano estetico e del contenuto. Ciò premesso, va rilevata in queste suggestive sue opere l’encomiabile perizia tecnica consistente nel saper prevenire gli effetti del caso dovuti al procedimento di cottura dell’opera. Ma al di là della bravura che si estrinseca al momento dei procedimenti esecutivi, è l’idea che lei ha in mente ad essere estrinsecata in modo assolutamente spontaneo, sicché esiste la percezione di una corrispondenza piena tra il logos e la res, ovvero tra il progetto mentale e la sua concretizzazione. Anzi la scultura costituisce la traccia dell’identità interiore dell’artista. Pertanto l’armonia formale, l’equilibrio delle masse, l’eleganza dell’immagine, il dinamismo del soggetto raffigurato sono l’armonia, l’equilibrio, l’eleganza, il dinamismo del suo mondo interiore reso capitolo di un racconto esaltante che l’autrice dona ai suoi lettori.
Che lei sia chiaramente sedotta dalla grandiosità delle tracce archeologiche della Magna Grecia, lo dimostra il fatto che ogni suo lavoro, anche se di dimensioni domestiche, potenzialmente si presta ad essere eseguito in proporzioni appunto monumentali. E poi il riferimento ad una civiltà addirittura arcaica e quindi preellenica è determinato dalla logica antigraziosa delle superfici ove si afferma il cinetismo percettivo reso da un formicolio puntinistico che dà loro asprezza tattile e scabrosità. Si vuol dire che ogni sua scultura sembra reperto tornato alla luce dopo millenni di oblio e di dittatura della corrosione: un fascino particolare ed insolito è dato proprio dall’assenza della fluidità propria di una ceramica levigata e policromatica. Nulla di tutto questo in lei; al contrario un materismo dalla profondissima fisicità come sarebbe piaciuto ad alcuni protagonisti della scultura informale (penso qui alla materia corrosa, arcaica ed al tempo stesso preziosa del marchigiano Edgardo Mannucci).
Un ulteriore discorso a proposito soprattutto di certe sculture dedicate al tema del cavallo e di altri animali è quello dell’interazione opera-spazio. Si avverte come lo sforzo sia quello di rovesciare il rapporto tradizionale, per cui non più trattasi di un’opera collocata nello spazio, ma di un’opera che genera e crea lo spazio (per questo parlavo sopra di progettualità monumentale). Le qualità plastiche di ogni opera solidificano quasi tale dimensione, determinante in campo scultoreo. In definitiva, come detto nel titolo di questa testimonianza, Rita Ippaso ha saputo rimare nella sua ricerca che porta avanti ormai da diversi decenni con grande riscontro di pubblico e di critica, la classicità con la modernità, schierandosi decisamente contro sterili forme di avanguardismi concettuali che troppo spesso imperversano anche in rassegne di grande prestigio. L’opera d’arte saprà esercitare anche sull’uomo tecnologico contemporaneo il suo fascino e sarà come nel passato nutrimento dello spirito proprio a condizione che non si perdano quei valori estetici e formali ai quali la formazione umanistica della nostra artista induce a fare costante riferimento.
Leo Strozzieri, 2007
… La vita come viaggio, ora piacevole, ora pieno di dolori, di cui restano le cicatrici più o meno rimarginate. Questa la tematica del lavoro pittorico incisorio e ceramico di Rita Ippaso, trapanese di nascita che ha diviso la sua esistenza tra l’Inghilterra e l’Abruzzo, dove vive. Quella di lppaso é un lungo racconto, dominato dalla schiettezza, dalla dolcezza e dalla luminosità, proprie di chi ha vissuto esperienze anche tristi e ha imparato a prenderne le distanze, senza tuttavia dimenticare. Proprio questo sembra il senso delle sue ceramiche forate da innumerevoli segni, lasciati dal punteruolo, come «il grande vaso di Pandora», pieno all’interno di policromi desideri, racchiusi in un involucro che riassume volti ed immagini di esperienze del passato». L’opera di Ippaso segue il filone realistico, mediato sempre dal ruolo del sogno, che trasfigura la realtà. La tendenza dell’opera è popolareggiante, non priva di elementi arcaici, propri della Sicilia, ma anche di mitologie tutte contemporanee, che tuttavia hanno perso il senso dell’epopea per soffermarsi attoniti sulle piccole cose quotidiane. Piccole gioie, non grandi felicità, come quelle di due «fidanzati in bicicletta», che ricordano lontanamente alcune immagini di Viviani. Tutte le opere esposte percorrono l’ultimo quindicennio d’attività di Ippaso, quando il senso di speranza si è fatto maggiormente sentire e i colori divengono decisamene luminosi, per esprimere ancora una volta il senso di una pacata attesa.
Marco Fragonara, 2005
Sicilian-born artist Rita Ippaso, now living and working in Loughborough, is exhibiting three dozen oil paintings in Vaughan College. St. Nicholas Circle. Leicester. Much of the charm in her work is the poised mystery of the symbolism. Three pictures, peopled with rather doll-like men and women, clothed and unclothed, portray a bride waiting naked at the altar followed by matrons uniformly clothed in their Sunday-best, a man fully clothed embracing a pale fleshed naked maiden and a nude woman riding a blindfold mule while she carries aloft a pink umbrella. Fascinating
If there is such a thing as Eden-like sexual innocence, some of these paintings get near to expressing it. A healthy current of personal style runs through this fascinating selection of figurative pictures. I particularly liked those where the focus is slightly blurred. Rita Ippaso art could be aptly called a gentle and poetic cultivated primitivism.
L’artista di origini siciliane espone le sue opere a Leicester.
Gran parte del fascino nel suo lavoro risiede nel mistero del suo simbolismo. Tre sono i quadri più rappresentativi, affollati da uomini e donne simili a bambole, alcuni vestiti ed altri svestiti: uno ritrae una sposa che attende nuda all’altare, contornata di matrone vestite in modo informale con gli abiti della domenica, in un altro vediamo un uomo vestito di tutto punto che abbraccia una pallida donna tutta nuda ed in un terzo vediamo una donna nuda, riparata da un grosso ombrello rosa, che cavalca un mulo bendato.
Se esiste qualcosa simile all’innocenza sessuale dell’Eden allora questo è il sentimento che tali quadri esprimono. Uno stile fortemente personale si rivela attraverso quest’affascinante selezione di quadri figurativi. Personalmente preferisco quelli dove la messa a fuoco risulta leggermente sfuocata. L’arte di Rita Ippaso potrebbe essere definita come un primitivismo coltivato e poetico.
Ronald Moore, 1980
Nota per un’attività di ceramista iniziata negli anni ’70 tra Italia e Inghilterra, dove ha a lungo vissuto, e che l’ha portata a esporre in tutta Europa con grande successo di pubblico e critica, Rita Ippaso propone un assaggio di quella ricerca pittorica, che da sempre viaggia in parallelo con la scultura. La sua formazione infatti si è dipanata attraverso le libere frequentazioni dell’Istituto d’Arte di Chieti, i corsi di ceramica presso valide università inglesi e l’avvio alle tecniche incisorie nell’Accademia di Belle Arti di Palermo, una volta tornata nella sua Sicilia.
Il primo elemento di differenza tra i due percorsi, pittorico e plastico, è l’abbondanza di colore che impregna le tele e talvolta viene rimosso a vantaggio del soggetto, sempre in toni brillanti e felici sfumature, che permette di dimenticare completamente la purezza delle statuine in ceramica bianco sporco. È come se quelle superfici bucherellate, che nella scultura davano il senso dell’idea abbozzata, della materia grezza, da cui possono nascere spontaneamente le figure, quasi l’arte fosse un’urgenza implacabile, ora venissero riempite di paste cromatiche, lasciando sempre una certa matericità all’opera. Mentre nella scultura la mano dello spettatore poteva attardarsi sulle sagome imperfette, perché mai levigate, ora può sentire la corposità della pittura, ripercorrere il sentiero gestuale dell’artista e riconoscere la stessa essenza vibrante.
Quanto è stato naturalmente riportato da una tecnica all’altra è certamente il nodo narrativo, che ci lascia ritrovare un bestiario variegato, assoluto protagonista di un interessante racconto che inevitabilmente si intreccia con la vita stessa dell’autrice. Ippaso ricostruisce le sue memorie di viaggiatrice grazie allo sguardo ipnotico di una tigre, alla leggerezza dei corpi di struzzo, alla freschezza dei fondali marini. Le interessa catturare le sensazioni epidermiche che la natura può suscitare con la sua complessa bellezza e che possono prendere una forma d’arte, se guidate con spirito sincero a diventare, da preziosi ricordi, eterni simulacri. Con una grande gioia trasmessa attraverso le pennellate vigorose, la scelta di timbri accesi, le linee semplificate come fossero disegni di bimba, l’artista riporta tutta la magnificenza goduta coi propri occhi e introduce in maniera genuina il tema del viaggio. A ben guardare l’insieme delle opere scelte il racconto si fa intricato e il mondo animale risulta un pretesto per seguire un percorso di vita. La varietà delle scene fermate in frammento corrisponde a una varietà di esperienze umane e professionali, che è possibile intuire anche solo leggendo qualche nota biografica. Ippaso ha desiderio di pensare a tutte le avventure vissute, prima di tutto per non perderle e poi anche per trasmetterne memoria a quanti ammirano la sua arte.
Compare un oggetto che aveva già fatto bella mostra di sé nelle acqueforti e acquetinte, la bicicletta, che ora attraversa spavalda paesaggi esotici, non abbandona mai il cammino del viaggiatore e come lui passa Da una riva all’altra del fiume della vita. Su quella bici improvvisamente compare una sposa dai capelli rossi: ha il vento sul suo abito nero e il cielo nelle ruote. È chiaro che Rita Ippaso è ancora in viaggio e vi rimarrà per sempre.
Chiara Strozzieri, 2012